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martedì 9 ottobre 2007

Massimo Osti Story*



Massimo Osti nasce professionalmente come grafico nella Bologna di fine degli anni ’60. Dopo il successo delle prime T-shirt stampate con metodi tipici della carta, gli viene proposto di diventare socio dell’azienda per la quale disegna nel 1970 la sua prima collezione di abbigliamento maschile. L’azienda, per volontà dello stesso Osti, si chiama Chester Perry, come quella in cui lavora Bristow, il celebre personaggio di un fumetto pubblicato su Linus e disegnato da Frank Dickens. Il successo appare evidente quando, a metà degli anni ’70, i marchi inglesi di abbigliamento Chester Barry e di maglieria Fred Perry fanno causa congiunta al designer bolognese, rispettivamente per il furto del nome e del cognome. Costretto a cambiare, Osti conserva le iniziali di Chester Perry e crea il celebre marchio C.P. Company. La trasformazione del nome non risulta comunque penalizzante dato che la linea di sportswear d’avanguardia C.P. Company fattura già 24 miliardi di lire nel 1981.
La passione per la sperimentazione è uno dei motivi condotturi di tutta l’attività di Massimo Osti. Nelle sue linee di abbigliamento, la ricerca attraversa sempre l’intero processo creativo del capo. Per quanto riguarda la modellistica, taleattività è stimolata dall’archivio di capi usati, in gran parte militari, che il fashion designer colleziona fin dai primi anni diattività. Con un intuito da alchimista metropolitano si dedica inoltre a una continua sperimentazione sui materiali e sui finissaggi. L’invenzione di nuovi tessuti e di nuovi procedimenti di tintura e finissaggio sono sempre punti di rottura positiva e conduco spesso alla nascita di nuove linee. È questo il caso di Stone Island creata con una innovativa tela delavè bicolore e reversibile che prende spunto dalla tela di copertura dei camion. Alla fine degli anni ’80, dopo la cessione delle proprie quote societarie al Gft, i marchi d’abbigliamento maschile creati da Osti sono cinque: C.P. Company, C.P. Company Baby, Boneville, Stone Island e C.P. Collection, oltre a C.P. Magazine, il catalogo che illustra le sue linee e che è venduto nelle edicole e nei negozi con una tiratura di oltre 50.000 copie.
L’impegno di Osti nell’invenzione di nuovi tessuti come quello termo sensibile che cambia colore al variare della temperatura non gli impedisce di mettersi alla prova in altri settori. Dopo la produzione di un documentario per sensibilizzare il mondo sui problemi della deforestazione dell’Amazzonia e il finanziamento di un progetto per l’invenzione di un’automobile elettrica, Osti e C.P. Company vestono l’edizione 1988 della Mille Miglia e la Fedederazione Italiana Golf per gli incontri internazionali. A questi eventi si affiancano altri progetti come quello del restiling della Vespa per Piaggio e il prototipo per una tuta da lavoro per Volvo. Il successo delle sue linee, che portano l’azienda di cui è ancora presidente nei primi anni ’90 a un fatturato di oltre 90 miliardi di lire e più di 1500 negozi in tutto il mondo, non deve molto alla pubblicità. In controtendenza con il mercato delle griffe internazionali i capi di Osti  non rimandano a mondi costruiti e irreali. L’assenza dalle passerelle e le campagne pubblicitarie in cui il centro del messaggio è il prodotto spogliato di ogni altro elemento, seguono la volontà del designer di puntare esclusivamente sull’innovazione creativa e funzionale dei suoi abiti. Questo atteggiamento di lealtà verso il consumatore è una costante della sua carriera che premia anche i marchi nati dopo la conclusione del rapporto creativo con le linee che lo avevano portato al successo internazionale. Negli anni ’90 si susseguono, infatti, nuove collaborazioni cadenzate dal ritmo dell’invenzione di nuovi tessuti, nuove funzionalità e nuovi progetti. Le linee firmate Osti in questo periodo prendono i nomi di Left Hand, Massimo Osti Production, Far East e OM Project. Il designer firma inoltre la linea di abbigliamento Superga, i pantaloni Equipment for Legs ideati per Dockers, le giacche ICD disegnate per Levis e, tra gli ultimi lavori, un futuristico giubbotto nato dalla collaborazione con Philips e Levis dotato al suo interno di telefono cellulare e lettore MP3.
Nel 1999, la rivista Arena Homme Plus incorona Massimo Osti come il designer più influente degli anni ’90, molti altri lo definiscono padre dello sportswear e della techno-fashion. Certo è che la sua filosofia professionale e le sue  innovazioni tecnologiche hanno aperto nuove strade a tutto il mondo della moda.

*Questo "post" è già stato pubblicato. Io ne sono, chiaramente, l'autrice ma il testo è già stato utilizzato in passato. Ci tengo comunque a pubblicarlo sul mio blog perchè Massimo Osti è stato l'argomento della mia tesi oltre ad uno degli stilisti che ho apprezzato maggiormente, un vero innovatore sotto molti punti di vista.
PS: Se qualcuno se lo chiedese... non sono morta... sto solo lavorando spropositatamente!!! Abbiate fede!!!

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